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Pinsa romana

Di: 16 commenti 16 Difficoltà: media
pinsa romana

La leggenda vuole che la pinsa romana fosse una ricetta già in uso presso gli antichi romani; la verità è che sì, la pinsa intesa come prodotto lievitato dalla forma allungata e fatta con un mix di farine e lievito naturale esiste sin dai tempi dei romani; in latino pinsere significava allungare, schiacciare: da qui l’origine del nome pinsa.

La pinsa romana moderna però, costituita da uno specifico e bilanciato mix di farine diverse e pasta madre acida è invenzione di Corrado di Marco, che per ragioni commerciali ha lasciato che i consumatori continuassero a credere che la ricetta derivasse dall’antichità, perchè questo aneddoto, riportato erroneamente da un giornalista che lo intervistò, conferiva al suo prodotto quel qualcosa in più dato dal fascino della storia.

Ecco perchè, sebbene ormai in commercio esistano diversi mix di farine per pinsa romana, solo uno è il vero mix per realizzare la pinsa ed è quello del sig. Di Marco.

Di Marco è nipote di un panettiere che faceva pane nel periodo della guerra del ’15-’18 utilizzando un forno trainato da un carretto e che ha trasferito al nipote molte delle sue conoscenze sull’arte bianca introducendolo ai segreti delle svariate forme di lievito naturale e al gusto per la ricerca e la sperimentazione. Sì, perchè in un’intervista Di Marco spiega come il nonno utilizzasse svariate piante che conosceva molto bene e che immagino facesse fermentare per ottenerne diverse forme di lievito che conferivano al prodotto ognuno caratteristiche diverse.
Dalla conoscenza dei lieviti naturali e delle farine, approfondita grazie all’affiancamento con tecnici del mestiere e dall’amore per la sperimentazione e per trasmessogli dal padre, Di Marco ha sviluppato il suo mix contenente farina di soia, farina di riso, farina di frumento ad alto contenuto proteico (per garantire la tenuta delle lunghe lievitazioni) e pasta madre acida in proporzioni bilanciate per ottenere un risultato ottimale.

Borlenghi o zampanelle – ricetta originale di Guiglia

Di: 13 commenti 13 Difficoltà: media
borlenghi o zampanelle

Credo che molti dei miei lettori non abbiano mai sentito nominare i borlenghi (conosciuti anche come zampanelle nella provincia di Bologna).

E’ una sorta di crepe sottilissima e croccante che si prepara nelle province dell’appennino emiliano tra Bologna e Modena.

Il borlengo si prepara con acqua, farina, sale ed eventualmente uova. Questo composto liquidissimo prende il nome di “colla” e viene cotto su una padella di rame stagnato dal diametro molto grande che prende il nome di “sole”. Una volta cotto si condisce versando qualche goccia di “cunza” ovvero un condimento fatto con lardo, rosmarino e aglio frullati e poi cotti in modo che il grasso si sciolga e diventi liquido. Assieme alla cunza si spolvera del parmigiano reggiano invecchiato 24 mesi; a questo punto il borlengo si piega prima a metà e poi di nuovo a metà e si serve caldo.

Zeppole di San Giuseppe – fritte ma non unte!

Di: 4 commenti 4 Difficoltà: media
zeppole di San Giuseppe

E’ da tanto che avevo la voglia di provare a fare le zeppole di San Giuseppe, un dolce tipico della tradizione campana che si prepara in occasione del 19 marzo, il giorno della festa del papà.

Il dolce si compone di una base fatta di pasta choux o pasta bignè a cui però si unisce lo zucchero e poi si farcisce con crema pasticcera e una amarena. Le tradizionali zeppole napoletane sono fritte, ma si possono preparare anche al forno per un risultato più leggero. C’è anche una terza opzione che coniuga il gusto del fritto alla leggerezza e consiste nel farle gonfiare prima al forno e poi friggerle. In questo modo la zeppola non si intride di olio e dunque risulta meno unta.

Non le avevo mai mangiate e mi sono piaciute moltissimo. Il connubio tra crema pasticcera e amarene è superlativo.

Piadina sfogliata

Di: 14 commenti 14 Difficoltà: facile
piadina sfogliata romagnola

Di tipologie di piadine in Emilia Romagna ne esistono tante quante sono le province e anche di più. C’è quella compatta, un po’ gessosa, panosa con la pezzatura leopardata regolare, piccola di dimensione e spessa 3 o 4 mm, poi c’è quella sottile e sfogliata con le chiazze scure irregolari. C’è quella piccola, di 15-16cm di diametro all’incirca e spessa 1cm che fanno a Castel San Pietro. Insomma ce n’è per tutti i gusti.
Per me però, piadina = piadina sfogliata, quella sottile, che quando la tagli perde i pezzi, che quando la mordi un po’ si sbriciola, fragrante e un po’ friabile.
Se piace anche a voi così, seguite questa ricetta che va per la maggiore su un gruppo Facebook ed è di Angela Verdiani, che non conosco, ma a cui va giustamente riconosciuta la paternità della ricetta.